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LO SPAZIO MAGICO
DELLA RELAZIONE

Lo spazio magico della relazione

 

Lo spazio magico della relazione

Metodo di intervento sulle dinamiche relazionali e sulla prevenzione del disagio nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria.

Riflessioni Preliminari

“Sempre di più capiamo
che non conta soltanto quello che facciamo al bambino,
ma quello che noi siamo nella vita”
(Cancrini, 2002, p. 68)

Ciò che porta una persona a scegliere di approcciarsi al mondo dell’infanzia e poi di occuparsi del complesso ambito dell’educazione ha a che fare con una ‘storia’, un processo profondo e continuo (perché continua sarà la necessità di operare scelte) fatto di innumerevoli variabili proprie e personali che - nel loro continuo divenire - l’insegnante porta con sé ogni giorno nella sua classe. Ciò che accade all’interno dell’aula scolastica, con i bambini, mette sempre in gioco ciò che siamo: la visione che abbiamo di noi, di ognuno di loro, del gruppo, dei reciproci ruoli, del rapporto che ci lega, delle regole e degli obiettivi della professione che pratichiamo.
Essere curiosi, attenti e consapevoli riguardo l’esistenza di questo consistente bagaglio di riferimenti è fondamentale per comprendere come tutto ciò ci guidi e informi nel procedere del nostro lavoro quotidiano, lasciandoci aperti, di volta in volta, all’incontro con specifiche realtà, sempre nuove. In termini formativi e istituzionali, diventa importante per le agenzie educative riflettere sul legame esistente tra la visione che abbiamo del bambino, dell’adulto e dei processi di apprendimento, con le teorie di riferimento e le tecniche utilizzate; è opportuno riconsiderare i presupposti teorici che connotano diversi stili educativi, sia per come si sono storicamente definiti, sia per come vengono intesi nelle prospettive più recenti, nelle quali si inquadra - nello specifico - la proposta del Metodo “Lo spazio magico della relazione”.

Uno sguardo storico

Il dibattito intorno alla qualità delle pratiche educative, dei servizi e delle istituzioni per l’infanzia appare profondamente influenzato dal modo in cui, nel corso del tempo, questa realtà è stata osservata, compresa e concettualizzata: chi è il bambino e come si sviluppa secondo le teorizzazioni tradizionali? Chi è il bambino per noi?
Il passaggio da una concezione tipicamente moderna a una riflessione post-moderna sull’infanzia è infatti caratterizzato dall’emergere di un approccio critico nei confronti di un’idea che costringe le vite dei bambini ad essere “vissute attraverso infanzie organizzate per loro dalle interpretazioni che gli adulti fanno dell’infanzia e di quello che i bambini sono e dovrebbero essere” (Mayall, 1996, cit. in Dahlberg, Moss e Pence, 1999 tr. it. 2003, pp?). Dahlberg, Moss e Pence (1999) identificano tre tipologie di interpretazione che hanno storicamente dominato la riflessione su questo tema. La prima ha prodotto un’immagine del bambino come tabula rasa (il bambino di Locke) che vive la sua condizione come periodo di preparazione a stadi evolutivi successivi più importanti, “l’inizio di un viaggio di realizzazione, dall’incompletezza […] alla maturità e alla piena condizione umana che è l’età adulta, da potenziale non sfruttato a risorsa umana economicamente produttiva.
Il bambino è in cammino verso l’età adulta e rappresenta il capitale umano potenziale in attesa di realizzazione attraverso l’investimento” (Jenks 1982, cit. in Dahlberg et al. 1999, tr. it. 2003, 76). Il compito dell’educatore sarebbe allora quello di trasmettergli conoscenze, valori e abilità, secondo un modello ‘adulto’ già definito e condiviso socialmente. La concezione opposta è quella che trova in questa fase della vita l’innocenza primitiva, che solo la società, violenta, oppressiva e corrotta, può contaminare e che l’adulto deve - pertanto - saper proteggere (il selvaggio di Rousseau).
Per ultima, la largamente condivisa teorizzazione riconducibile al prototipo piagetiano, che ha didatticamente il pregio di porre come centrale - ai fini dell’apprendimento - la possibilità concreta di sperimentazione del mondo; in questo modello - tuttavia - il bambino continua ad essere definito come fenomeno naturale, inserito in un percorso di maturazione biologicamente determinato e decontestualizzato, scandito in fasi predisposte e consecutive che accompagnano la progressiva trasformazione dell’essere umano naturale in un soggetto autonomo, stabile, saldo, equilibrato. Le tre paradigmatiche direzioni attraverso cui si è sviluppato il discorso sull’immagine del bambino sono accomunate da una medesima immagine di bambino etero-determinato, passivo, isolato, dipendente; parallelamente, favoriscono un’interpretazione delle pratiche educative come mezzo di trasmissione di un complesso predeterminato e incontrovertibile di conoscenza, pienamente in linea con la visione scientifica oggettivante - di retaggio illuministico e positivistico - tipica del pensiero della Modernità.

Necessità di nuove prospettive

La possibilità di introdurre una novità in questo quadro storico di pensiero prende le mosse dalla diretta possibilità di osservazione quotidiana, anche ‘ingenua’, di un qualsiasi genitore o educatore, dell’assoluta insostenibilità dell’idea di passività e non partecipazione al mondo del bambino stesso. Affinché questa intuizione possa tradursi in una teoria che orienti l’approccio pedagogico delle agenzie educative, è necessaria tuttavia una riformulazione di base dei presupposti epistemici. La ricerca di un riferimento teorico sufficientemente ampio e flessibile da superare la tendenza all’inconciliabile pluralismo, all’eccessiva specificazione e al riduzionismo dei concetti classici di comportamento, cognizione, ecc… approda all’utilizzo della metafora dei sistemi complessi (Sander, 2002; Minolli, 2009; 2011).
Ogni sistema vivente viene concettualizzato non nella parzialità e nei contenuti, ma nel suo funzionamento. Esso opera con una costante attività di auto-eco-organizzazione che provvede a riequilibrare la coerenza del sistema stesso nel corso della sua esistenza e nella reciproca interazione con altri sistemi, in funzione di cambiamenti interni ed esterni, in un gioco continuo di rimandi, influenze e riorganizzazioni.
Ogni soluzione adottata dal sistema è quindi altamente specifica e coerente con se stessa, anche nel caso della manifestazione ‘disturbante’ o ‘patologica’, e non è riducibile ad un concetto di ‘normalità’ universale da perseguire.
Muovendosi all’interno dell’epistemologia della Complessità diviene quindi possibile rinunciare alle tradizionali visioni sopra esposte; possiamo invece arrivare a definire l’apprendimento, lo sviluppo e – in senso lato – la conoscenza, come un complesso processo di avvicinamento alla realtà, all’interno di un’esperienza interattiva che coinvolge sempre osservatore e osservato. Calando tale prospettiva all’interno del contesto educativo, si evidenzia come la specificità di ogni bambino, di ogni insegnante e della relazione che intercorre tra di loro, sia, per definizione, diversa da tutte le altre e come tale debba essere affrontata.
In questa direzione, in ambito evolutivo - soprattutto con il paradigma dell’Infant Research, che vede il bambino precocemente dotato di variegate competenze e quindi, già dalla nascita, attivamente partecipe e coinvolto nel rapportarsi alla realtà che lo circonda - si afferma la centralità della dimensione interattiva ed intersoggettiva come unico contesto possibile di sviluppo e apprendimento (cfr. Beebe e Stern, 1977; Beebe e Lachmann, 1988). Tale punto di vista dinamico e processuale rifiuta splicitamente un’ottica isolata, statica, individualistica: tutte le azioni e le informazioni in un'interazione sono co-costruite, vale a dire regolate in modo bidirezionale dai partner, anche se non necessariamente allo stesso modo o nello stesso grado.
In questo senso, come ha sostenuto Sameroff (Sameroff e Chandler, 1976), lo sviluppo non è concettualizzabile in termini lineari, ma è caratterizzato da uno stato di costante riorganizzazione attiva. Inoltre, non è possibile fare previsioni se si prende in considerazione solo il bambino o solo l'ambiente: per poter essere predittivi bisogna considerare le transazioni tra il bambino e l'ambiente e la regolarità delle loro ristrutturazioni.
La sfida che si apre riguarda la possibilità di trasferire alla pratica d’insegnamento tali conquiste epistemiche e teoriche: ridefiniamo il bambino come soggetto co–costruttore, protagonista attivo di percorsi di conoscenza mai definiti, e che - proprio in quanto tale - deve essere sempre rispettosamente sostenuto nel mantenimento di un costante processo di interazione con la realtà e non nell’obiettivo o nel risultato predefinito.
L’incontro con il bambino assume qui una dimensione quasi ‘etica’ (Levinas, xxx, cit. in Dahlberg et al.,1999, tr.it. 2003), nel momento in cui viene connotato dal riconoscimento dell’esistenza dell’alterità, della diversità, della pluralità, contro un’ottica di appropriazione da parte dell’uniformità universale e verso l’affermazione dell’accettazione dell’eterogeneità. Non è più opportuno o necessario pensare all’insegnante come colui che conosce la verità da trasmettere al bambino, né all’apprendimento come una situazione di ‘separazione’ in cui l’altro è la domanda e noi siamo la
soluzione. Sono invece la disponibilità e la capacità dell’insegnante di ascoltare ciò che l’altro sta portando e di prenderlo sul serio, così come di ascoltare se stesso all’interno dell’interazione e di non ‘darsi per scontato’, ad essere strettamente connesse a quest’idea etica della relazione d’apprendimento.
L’insegnamento deve intervenire su questo ‘materiale’ molto eterogeneo e posto in una dimensione processuale di costante divenire; non può quindi configurarsi come una tecnica rigida, ripetitiva, universalmente definita e valida. Anzi, la tecnica si configura come altamente peculiare, flessibile e creativa proprio perché presuppone il riconoscimento da parte dell’insegnante del suo essere totalmente parte del gioco. Da questa consapevolezza nasce la necessità per l’insegnante di attingere in se stesso per entrare nel mondo del bambino, accorgersi e farsi carico delle modalità o delle difficoltà che porta; nasce il bisogno di uscire da una logica protetta di ruolo e dalla rassicurazione delle teorie e delle ‘istruzioni per l’uso’, permettendo così al bambino stesso di percorrere la sua strada e il suo processo ‘per come è’, all’interno di questa relazione.
Ancora oltre, l’affermarsi di una relazione come incontro con l’alterità implica una reciproca disponibilità dell’insegnante e del bambino a lasciarsi ‘mettere in crisi’ dall’altro, nel senso etimologico di apertura a nuovi modi di giudizio, a nuove prospettive, a qualcosa di differente con cui confrontarsi. Questa dimensione critica determina necessariamente un certo grado di fatica e di incertezza, ma è condizione per l’evolversi costante e il definirsi di nuovi spazi di scelta, di soluzioni alternative, e per il progredire del processo di conoscenza, in un’esperienza di progressiva appropriazione - da parte di
entrambi - di questo stesso stile di approccio alla realtà.
È necessario ora cercare di comprendere come questa proposta metodologica di apertura ‘etica’ e creatività si realizzi nel concreto dell’aula scolastica.
Partiamo dall’affermazione della centralità della relazione: essa viene intesa come tecnica che rende possibile lo svolgersi del processo d’apprendimento, in quanto, per il “sistema –bambino”, essa è ‘luogo’ di manifestazione, comprensione e analisi delle modalità di funzionamento e costruzione del rapporto con il mondo.

La formazione alla relazione

L’educazione e il confronto con il principio di realtà (…)
obbligheranno il bambino a scoprire, in funzione delle esperienze vissute,
strategie multiple che gli permetteranno non solo di affermarsi di fronte agli altri,
ma anche di fare le connessioni necessarie per essere accettato, riconosciuto,
e, se possibile, amato.
(A. Lapierre, prefazione a “Quasi quasi gli sparo” di P. Bergonzoni – C. Petitti)

Riscontriamo che molto spesso il percorso formativo degli insegnanti non comprende una formazione specifica della relazione, rimandando al buon senso e alla buona volontà individuale la gestione del problema.
Riteniamo che sia necessario intervenire su questo aspetto così importante della formazione in modo più direttamente professionale, offrendo agli insegnanti proposte di conoscenza e di riflessione teorica, accanto a proposte pratiche di intervento che consentano di gestire la relazione con gli alunni e tra gli alunni in modo costruttivo e creativo, con significative ricadute anche in riferimento alle sempre più variegate situazioni di disagio scolastico che ci si trova spesso ad affrontare.
Ci proponiamo, allora, di offrire agli insegnanti e agli operatori della Scuola un METODO DI INTERVENTO concreto che possa aiutare gli alunni a sperimentare situazioni relazionali costruttive e motivanti, e che nello stesso tempo permetta agli insegnanti di comprendere con competenza e creatività i bisogni e le istanze evolutive di ciascun alunno, promuovendo così la ricerca di un benessere e di un contesto qualitativamente migliore per tutti i protagonisti del percorso educativo.
Siamo certi che questo possa aiutare docenti e discenti a costruire una nuova Etica dell’Incontro, che si prefigga di sostenere la conoscenza nella relazione.

La relazione è un percorso

Sappiamo bene che quando ci riferiamo alla relazione non parliamo di un fenomeno eterodeterminato né immutabile: la relazione è il risultato di un percorso da costruire e che può essere modificato nel tempo.
Ognuno di noi è responsabile di una parte di questa costruzione: non possiamo coltivare l’illusione narcisistica di poterne esserne gli unici artefici, né cedere all’impotente convinzione di non poter modificare niente. La relazione si costruisce attraverso una complessità di elementi, consci ed inconsci; riteniamo che l’adulto debba assumere la responsabilità di rendere espliciti il maggior numero di questi elementi, in modo da favorire uno scambio relazionale consapevole.
Alcuni di questi elementi sono di ordine culturale:

  • abbiamo visto quanto sia importante l’idea di bambino che abbiamo costruito; altrettanto determinante sarà l’idea di adulto che il bambino si è formato nella sua esperienza e che metterà in gioco nel suo incontro con noi;
  • è inoltre importante, nella definizione della relazione, considerare come la scuola viene impostata:
    - le attività di accoglienza (per esempio io faccio l’appello non tanto per vedere chi è assente: sono i  presenti che vengono chiamati per nome, salutati, riconosciuti come individui all’interno del gruppo);
    - i tempi di svolgimento delle diverse attività, didattiche e non;
    - la diversificazione delle proposte, la capacità di formulare progetti;
    - la presenza o meno di alcuni momenti destrutturati o auto-organizzati;
    - eccetera eccetera …
  • altrettanto importante sarà però valutare come il bambino si pone di fronte a queste proposte:
    - la sua motivazione, i suoi desideri espliciti ed impliciti;
    - il suo livello di interesse, le sue competenze espressive;
    - la sua “tempistica personale” rispetto a quella normalmente richiesta;
    - eccetera eccetera …

Altri elementi sono di ordine più soggettivo e personale:

  • simpatie o antipatie reciproche;
  • proiezioni (sempre reciproche) legate a vissuti personali precedenti;

La relazione sarà comunque la risultante di una serie di feed-back reciproci: per questo occorre avere un buon linguaggio comune, che permetta a tutti gli attori della relazione di confrontarsi e comunicare in modo costruttivo.

Confronto tra le qualità della cultura infantile e della cultura adulta

In effetti, l’incontro tra adulto e bambino è anche l’incontro (o lo scontro) tra due culture che presentano caratteristiche diverse, che incarnano modi diversi di interpretare il mondo e le esperienze personali.
La “cultura adulta” è prevalentemente di tipo digitale, razionale, ipotetico-deduttiva; prevalentemente si esprime attraverso spiegazioni, dimostrazioni, o descrizioni che si presumono oggettive.
La “cultura infantile” è, invece, soprattutto analogica, magico-animistica, empirica; si esprime soprattutto attraverso il comportamento (es: se vivo un disagio creo disagio intorno a me), oppure creativamente attraverso il gioco e l’utilizzo di linguaggi simbolici.
In sé, entrambe le impostazioni hanno dei valori, esprimono delle potenzialità per capire e affrontare alcuni aspetti della realtà che ci circonda. Pensiamo, anzi, che una buona integrazione tra il linguaggio analogico e quello digitale, tra il mondo magico e quello razionale, possa agevolare lo sviluppo intellettivo e le capacità comunicative tanto degli adulti quanto dei bambini.
L’adulto, però, si comporta spesso con il bambino in modo colonialista, tentando, cioè, di cancellare la cultura ritenuta più debole e inadeguata per imporre la propria, i propri punti di vista, il proprio linguaggio.
Riteniamo viceversa opportuno costruire un ponte comunicativo, un linguaggio comune che permetta alla comunicazione tra adulto e bambino di essere efficace.
In questo senso, quindi, la relazione necessita - per configurarsi come oggetto di interesse, osservazione e intervento utile - di un contesto preciso di riferimento, la cosiddetta “strutturazione di campo” (Minolli, 2009).
Ci proponiamo quindi di organizzare un tempo e uno spazio dedicato all’elaborazione delle dinamiche relazionali, luogo che chiameremo Lo Spazio Magico della Relazione.
Ogni esperienza si gioca nello spazio e nel tempo. Tempo e spazio sono determinanti, in quanto permettono, impediscono, condizionano quantità e qualità dell’esperienza, dunque vanno organizzati. E’ per ciò che lo definiamo spazio magico, in quanto non si tratta di uno spazio di analisi del reale, ma di esplorazione del possibile.
Uno spazio in cui il linguaggio del corpo e l’aspetto simbolico del gioco possano esprimere desideri, pulsioni, timori, contraddizioni,conflitti, normalmente inesprimibili nello spazio reale. Uno spazio non solo di libera espressione, ma un luogo entro il quale scoprire e sperimentare le chiavi di elaborazione di eventuali situazioni che creano disagio.

Caratteristiche dello Spazio Magico

Si tratta di uno spazio sufficientemente ampio, che permetta di sperimentare il piacere senso-motorio (ideale una palestra); i confini dello spazio devono essere chiaramente definiti.
Lo SPAZIO MAGICO deve essere protetto da qualsiasi interferenza esterna: l’attività che si svolge al suo interno non può essere disturbata da telefonate, chiacchiere tra colleghi, ingresso di bidelli, etc…; i partecipanti all’attività devono essere protetti con una sorta di privacy, che garantisce la “magia” dello spazio.
All’interno di questo spazio, a disposizione del conduttore, si trovano oggetti adeguati a stimolare e a costruire il gioco simbolico: dunque oggetti che possono favorire giochi di costruzione, travestimento, lotta… e non giochi che prevedano il raggiungimento di un risultato pre-determinato.

Ruolo dell'adulto all'interno delle Spazio Magico

Compito del conduttore è quello di introdurre il bambino all’interno dello “spazio magico” e di accompagnarlo, discretamente e consapevolmente, in un viaggio che è espressione metaforica del suo percorso evolutivo.
L’itinerario di questo viaggio non può essere predeterminato in partenza: sarà il bambino, con le sue scelte, le sue scoperte, le sue conquiste, a definire modalità, tempi e strategie del suo procedere.

L’adulto, all’interno dello Spazio Magico, assumerà queste funzioni:

  • definire e garantire i confini e le regole, per permettere ad ogni bambino di giocare serenamente;
  • stimolare il gioco e aiutare il bambino a conoscere e sfruttare tutte le risorse di questo spazio, attraverso la proposta di oggetti, consegne, ecc…;
  • essere il testimone attivo e attento di ciò che accade, e rimandare correttamente al bambino i suoi vissuti più significativi;
  • infine, garantire l’uscita dal gioco e il ritorno alla realtà.

La nostra proposta

Per poter utilizzare correttamente il Metodo LO SPAZIO MAGICO DELLA RELAZIONE occorre frequentare con profitto il Corso di Formazione organizzato dalla Associazione Spazio Magico.
Il corso si articola in due livelli di 7 lezioni ciascuno:

  • lezioni teoriche: serviranno ad apprendere ed approfondire le basi del Metodo, e per acquisire le competenze idonee a comprendere e a rimandare correttamente le produzioni simboliche del bambino.
  • lezioni pratiche: intendiamo accompagnare i corsisti all’interno di uno “Spazio Magico”, cosìcome facciamo con i bambini, affinché possano sperimentare in prima persona l’efficacia e l’intenzionalità del Metodo proposto. Lo “Spazio Magico” creato con gli adulti sarà naturalmente adeguato al contesto, e dunque non direttamente riproponibile in un contesto lavorativo con i bambini: occorrerà riflettere insieme sui criteri di trasferibilità che
    consentiranno, a posteriori, di lavorare in modo efficace. Il senso di questa proposta, a nostro parere molto arricchente, è quello di dare ad ogni Corsista l’opportunità di vivere in prima persona l’esperienza che poi andrà a presentare per poterla comprendere e condividere in tutte le sue potenzialità. Con questo, non si ha la pretesa di fare un lavoro di analisi o approfondimento personale, quanto piuttosto di sperimentazione del significato profondo di costruzione della relazione, necessariamente aperto alle proposte dell’Altro, in una dinamica di confronto auto-eco-organizzato.

Al termine del secondo livello verrà proposta una prova di valutazione, superata la quale i
partecipanti otterranno un Diploma di Abilitazione all’utilizzo del metodo LO SPAZIO MAGICO DELLA RELAZIONE e l’iscrizione al Registro delle persone abilitate, che verrà pubblicato sul sito dell’Associazione Spazio Magico.

Inoltre, per chi lo desidera, verranno proposti degli incontri di supervisione sulle esperienze dei partecipanti, per fornire un aiuto nella gestione di situazioni di complessità che si potranno venire a creare.

Bibliografia ragionata

Beebe, B. & Lachmann, L. (1988). The contribution of mother-infant mutual influence to the origins of self and object representations. Psychoanalytic Psychology, 5,(4), 305-337.

Beebe, B., & Stern, D. (1977). Engagement-disengagement and early object experiences. In N. Freedman & S. Grand (Eds.), Communicative structures and psychic structures (pp. 35-55). New York: Plenum Press.

Bergonzoni, P. Petitti C. (1995) Quasi quasi gli sparo La negoziazione e le dinamiche di potere nella relazione adulto/bambino – L’Autore Libri Firenze

Bonica L. (1984) Empatia, potere, curiosità Juvenilia, Bergamo

Cancrini T. (2002). Un tempo per il dolore. Torino: Bollati Boringhieri.

Dahlberg G., Moss P., Pence A. (1999). Tr. it. Oltre la qualità nell’educazione e cura della prima infanzia. (2003) Reggio Emilia: Reggio Children.

Lapierre A. (2001) Dalla psicomotricità relazionale all’analisi corporea della relazione Armando Editore, Roma

Lapierre A. Aucouturier B. (1985) La simbologia del movimento Edipsicologiche Cremona

Minolli M. (2009). Psicoanalisi della Relazione. Milano: Franco Angeli.

Minolli M. (2011). Tu sei me e io sono te. Ricerca Psicoanalitica, XXII, 2: 9-26.

Petitti C. (1994) Psicomotricità nel Castello dei Fantasmi – Progetto Psicomotricità

Sameroff A., Chandler M. (1976) Reproductive risk and the continuum of caretaking casualty in Horowitz F. D. Review of child development research vol. 4, University of Chicago Press, Chicago.

Sander, L.W. (2002) Thinking differently. Principles of process in living systems and specificity of being known. Psychoanalitic Dialogues, 12(1): 11-42.

 

C. Petitti, A. Sasso, D. Negretti
Pubblicato su Educare.it - Anno XIII n.3, marzo 2013