L’OSSERVAZIONE
IN PSICOMOTRICITA’ RELAZIONALE
Quando si lavora in terapia con dei minori, all’inizio ci si trova sempre a far fronte ad una doppia presa in carico. Da una parte ci sono i genitori, che chiedono un aiuto per loro figlio; dall’altra il bambino, che di solito non arriva con una richiesta, anzi, a volte, con una certa diffidenza, ma che sarà il protagonista del percorso terapeutico. Per chi opera nelle relazioni di aiuto con i minori è importante tenere presente con chiarezza questi due aspetti della presa in carico, per cercare di dare risposte soddisfacenti e coerenti ad entrambi i contraenti del “contratto terapeutico”. Noi separiamo la presa in carico in tre momenti diversi:
- come prima cosa viene proposto un colloquio conoscitivo con i genitori, durante il quale
chiediamo che il bambino non sia presente; - successivamente si svolge l’osservazione psicomotoria del bambino, che può articolarsi in una o
più sedute, a seconda delle necessità; - da ultimo un colloquio di restituzione con i genitori, durante il quale, dopo aver riportato l’esito
dell’osservazione, si stabilisce il contratto terapeutico.
Il colloquio conoscitivo
Per dei genitori che devono decidere se fare o meno con il loro figlio un percorso in Psicomotricità Relazionale, è importante conoscere alcune cose, prima di cominciare:
- la persona a cui affideranno il bambino;
- il posto dove avrà luogo la terapia;
- come interviene e perché potrebbe essere utile la Psicomotricità Relazionale;
- il tempo, la durata, i costi dell’intervento.
Penso che sia importante che le persone che si rivolgono a noi con una richiesta di aiuto si sentano
accolte, ascoltate e, se possibile, capite. La prima fase del colloquio è dunque dedicata all’ascolto,
cercando di capire quali siano le richieste, le aspettative, le preoccupazioni dei genitori. Chi viene da
noi è normalmente motivato dalla presenza di un problema, ed è importante capire quale valutazione
hanno i genitori del problema in questione: può trattarsi di una problematica originata da una patologia
o un ritardo dello sviluppo, o da una situazione famigliare, o ancora una difficoltà segnalata dagli
insegnanti o altri specialisti; in ogni caso è fondamentale conoscere quale sia il punto di vista dei
genitori, che sono comunque i responsabili del bambino e dunque anche delle scelte che si faranno
per quel bambino.
Sono assolutamente convinto che questa responsabilità vada rispettata e riconosciuta, anche
quando mi capita di avere delle valutazioni differenti dalle loro.
Cerchiamo poi di spiegare quali sono i principi di intervento della Psicomotricità Relazionale, e se si
ritiene che un percorso con noi possa essere utile all’elaborazione della problematica che ci è stata
presentata.
Da ultimo, vengono date informazioni sul tempo, la durata, i costi dell’intervento.
Questo primo colloquio è gratuito, perché ritengo giusto che i genitori, prima di scegliere se fare un
percorso, abbiano la possibilità di avere informazioni esaustive e valutare chi propone l’intervento.
A seguito di questo colloquio, se i genitori sono d’accordo, viene proposta un’osservazione
psicomotoria del bambino.
L’osservazione in Psicomotricità Relazionale
Lo strumento principale della Psicomotricità Relazionale è il gioco simbolico. Ci aspettiamo che proprio attraverso il gioco il bambino diventi narratore del suo mondo interiore, con le sue risorse, le sue paure, le sue difficoltà. Attraverso il gioco il bambino racconta se stesso; ma ha bisogno di un interlocutore attento, in grado di cogliere il significato della sua storia e di restituirglielo con delicatezza, senza pressioni e soprattutto senza fretta. Allora si crea un rapporto di complicità, di empatia, di ascolto reciproco. E’ proprio la costruzione di questa relazione di fiducia e di comprensione profonda che permette al bambino di riscrivere la sua storia: nel gioco e col gioco imparerà a riconoscere le sue risorse, ad elaborare le sue paure, ad affrontare le sue difficoltà; imparerà a governare meglio le sue pulsioni, ad accettare con serenità qualche frustrazione, ad attenuare il suo naturale egocentrismo aprendo finestre importanti verso il mondo esterno e le sue esigenze. Il momento della prima osservazione del bambino è un momento chiave: è proprio nel primo incontro che si pongono le basi per la costruzione di questa relazione. Al bambino va comunicato, in modo chiaro ed esplicito, che è venuto qui per giocare. Deve sapere che non è qui per essere valutato o misurato nelle sue prestazioni; e neanche per rispondere alle aspettative degli adulti che stanno fuori da qui. Semplicemente… per giocare. Questa è la promessa, il contratto terapeutico che si fa col bambino, e come ogni promessa va mantenuta. Il resto, verrà. Una stanza spaziosa, oggetti semplici: palle, corde, cerchi, teli, bastoni; qualche materasso, cubotti di gommapiuma; animali di plastica e di peluche e poco altro. Giochiamo. Durante il primo incontro inizialmente si lascia che il bambino assuma l’iniziativa, e per prima cosa viene osservata la sua interazione con l’ambiente: è curioso, intraprendente, o piuttosto si mostra timido, restio a prendere l’iniziativa? Lo si accompagna nell’esplorazione dell’ambiente, cercando di dargli dei feedback che lo aiutino a sentirsi a proprio agio. Se necessario vengono proposti oggetti o piccoli stimoli motori per aiutare il bambino a percepire la “magia” di questo spazio. L’osservatore parla poco, non fa richieste.
Quasi sempre accade che il bambino entri presto nell’atmosfera del gioco simbolico. Organizza lo spazio, costruisce cose, inventa personaggi, piccole sequenze narrative: comincia a raccontarsi. Noi abbiamo la possibilità di osservare diverse cose:
- il movimento, le coordinazioni motorie, il suo rapporto con lo spazio;
- il linguaggio, la presenza di eventuali difficoltà, il tono, lo stile narrativo;
- le prassie, la sua capacità di utilizzare oggetti in modo consapevole e funzionale;
- lo stile relazionale: mi coinvolge nel suo gioco o preferisce fare da solo? Chiede aiuto se ha
bisogno? E’ coinvolto in quello che sta facendo, o inizia mille cose senza concluderne
alcuna? Mostra rabbia, aggressività? E’ introverso, o pauroso? Eccetera.
Sovente l’osservatore partecipa al gioco: non per condurlo od orientarlo, piuttosto per favorirne lo sviluppo; facciamo delle domande, proviamo ad aiutare il bambino, quando occorre, a comunicare meglio il senso di quello che sta facendo. Succede spesso che fin dal primo incontro il bambino presenti molto di sé, del suo rapporto col mondo, con gli adulti, con i coetanei. Se ascoltati, i bambini sono naturalmente motivati a comunicare il loro punto di vista sul proprio percorso di crescita. A volte capita invece che il bambino abbia delle resistenze, faccia fatica a fidarsi, si chiuda o protesti: in questi casi è necessario saper aspettare, non avere fretta. Inutile fare forzature. Talvolta l’atteggiamento cambia nel corso della seduta stessa: quante volte abbiamo visto bambini protestare e piangere prima di entrare, e che, in uscita, la prima cosa che dicono alla mamma è: “quando torniamo?” In altri casi le resistenze sono più dure a morire, e occorre che il bambino debba tornare due o tre volte prima di poter fare un’osservazione efficace. Ma quasi sempre, se teniamo un
atteggiamento tranquillo e coerente, il momento buono arriva. Al termine della seduta si chiede al bambino di aiutare a rimettere a posto gli oggetti usati; proponiamo poi di rappresentare con un disegno le esperienze che abbiamo fatto. E’ tutto, possiamo salutarci.
Il colloquio di restituzione
I genitori ci hanno raccontato qualcosa del bambino, della sua problematica, del loro punto di vista sul suo percorso di sviluppo. Il bambino ci ha raccontato, a suo modo, qualcosa di sé, della sua visione e comprensione di se stesso e del mondo che lo circonda. Abbiamo di fronte a noi un quadro che contiene risorse, difficoltà, aspettative, speranze. A volte si tratta di un’immagine un po’ confusa, che somiglia ai primi scarabocchi di un bambino; altre volte vediamo immagini ricche, piene di colori, o con forti contrasti. Nostro compito è cercare di fare una sintesi che aiuti una comprensione più profonda del quadro. Proviamo a restituire ciò che abbiamo ascoltato e osservato cercando di dare un senso, un significato all’esperienza che il bambino sta facendo, o al momento, forse difficile, che sta attraversando. Possiamo in questo modo aiutare i genitori a capire meglio le emozioni, le aspettative, le preoccupazioni di tutti i protagonisti dell’avventura educativa. Nostro compito è anche fare delle proposte: è importante capire che l’immagine del quadro non è un’immagine statica, ma dinamica. E’ possibile arricchirla, modificarla, farla evolvere; si possono aggiungere strutture, colori, sfumature. A seconda della situazione possiamo proporre una terapia psicomotoria relazionale individuale o in piccolo gruppo.
Se necessario, in presenza di una patologia o del sospetto di una patologia, possiamo richiedere un approfondimento diagnostico con altri specialisti o, quando è il caso, indirizzare verso un diverso approccio terapeutico.
Ai genitori offriamo un percorso parallelo a quello del bambino, attraverso una serie di colloqui sistematici che li aiutino ad assumere con consapevolezza il loro compito e la loro responsabilità educativa. Se concordiamo sul progetto, l’avventura psicomotoria può incominciare.
Dott. Carlo Petitti
Pubblicato su Varese News e malnate.org - ottobre 2015